venerdì 3 aprile 2015

Bruno Munari, geniale designer

Bruno Munari (1907/1998) non era un pedagogista, nè uno psicologo. Era un artista, un designer, che però con molte sue opere ed iniziative ha fortemente influenzato e innovato anche il mondo dell'educazione, in particolare di quella letteraria. Ma conosciamo meglio l'opera di questo personaggio.

Bruno Munari
Tra le sue opere più conosciute e famose compaiono i "Prelibri", libri senza parole, per bambini che ancora non sanno leggere, ma che sono lì presenti con tutti i sensi, curiosi, con la voglia di scoprire cose nuove. Libri "illeggibili", ma ricchi di stimoli tattili, visivi, sonori, libri in cui non c’è un preciso ordine o sequenza, e che quindi possono essere “letti” a partire da metà, tornando liberamente indietro o andando avanti. Una vera e propria rivoluzione.


Essi sono l'esemplificazione pratica di uno dei temi a lui più cari: la valorizzazione dell'esperienza sensoriale del bambino. Egli era infatti solito citare un antico proverbio cinese:
 
"Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco"
 
Particolari sono però anche le tecniche da lui utilizzate nei libri per i bambini più grandi, come la smaterializzazione del libro (utilizzo di trasparenze, sovrapposizioni... capaci di trasformare l'oggetto libro in un media multimediale) e il primato dell'immagine.
Un esempio è costituito da una delle sue prime creazioni: "Toc-toc, chi è? Apri la porta" (1945).
 


Munari lo crea, insieme ad altri ("Il venditore di animali", "Storie di tre uccellini", "Mai contenti"), immaginando per il figlio (nato nel 1940) delle storie semplici, che fossero capaci di comunicare non per forza attraverso le sole parole, ma anche attraverso il colore, il tipo di carta... 
Munari stesso commentò l'uscita di questo libro con le seguenti parole:
 "C'era tutta una zona inesplorata, nella quale ci sarebbe stato bene un libro anche per bambini che non sanno leggere - come i Prelibri che poi ho fatto: vedevo i tipici libri per l'infanzia, tutto testo, con poche illustrazioni al tratto, perché costava meno. Invece, con tutte le possibilità che offre l'industria tipografica - pieghe, carte, tagli, fori, fustellature - c'erano tanti altri modi di comunicare. Ecco, il libro è fatto anche di comunicazione visiva, di comunicazione attraverso i sensi, oltre che con la parola e con la vista."
Questi libri non hanno un protagonista all'interno: è il bambino che li sfoggia e li legge il vero protagonista. Egli sfoglia le pagine, guarda attraverso il buco della pagina la giraffa, apre la cassa (in realtà un'altra pagina, più piccola del formato del libro), e dentro di essa c'è un baule, e ancora dentro una valigia, e poi una cesta, e così via, fino ad arrivare ad un pacchetto piccolissimo con dentro una formichetta.
Questo libro in particolare inoltre anticipa alcune delle tecniche poi perfezionate ed utilizzate da Munari in altre opere, come il suo capolavoro "Nella notte buia" (1956): fori e buchi presenti nelle pagine, immagini nelle immagini...
 

  
 
"Nella notte buia" è un'opera inserita tra i libri "illeggibili", e rappresenta una forte esperienza per il lettore, poichè sollecita ripetutamente e quasi esclusivamente la vista e il tatto. Le immagini, così come l'esperienza tattile favorita dai diversi materiali utilizzati da Munari per realizzare tale opera, costituiscono l'elemento centrale, e al contrario dei "soliti" libri, le parole sembrano occupare una posizione di sfondo.
L'opera nello specifico è costituita da 32 pagine, non tutte dello stesso formato e materiale (ad esempio vi sono otto carte veline grandi, e quattro più piccole, fori, particolari ritagli, finestrelle). La copertina è cartonata, di colore nero, e il titolo e l'immagine del gatto rappresentato sono blu. Colpiscono  in quanto del tutto inaspettati e insoliti i due occhi gialli del gattino, che spiccano nella tenebrosità della copertina.

 
Si tratta di un'opera straordinaria e innovativa, che consente al lettore di vivere in prima persona quanto le immagini gli comunicano. Immagini che lasciano libera la mente del lettore di creare, fantasticare e sognare quello egli desidera.
Ad  esempio in alcune pagine  si susseguono profondi ritagli che danno l'idea di entrare personalmente in una grotta, entrati al suo interno,  si possono osservare le affascinanti scene di caccia rappresentate sulle pareti.
 
I colori sono intensi ed esprimono molto bene la cupezza e l'oscuritá notturna. Ma alla notte segue il giorno. Ed ecco che Munari ci trasporta in un altro scenario, quello della natura, e precisamente quello dell'erba, e dei suoi abitanti: insetti, lumache, ecc.
 
Un aspetto estremamente interessante é l'interattivitá e la multimedialità delle opere di Munari, compresa "Nella notte buia". La multimedialità rende il lettore partecipe, lo stimola, "stuzzica" i suoi sensi, lo tiene costantemente attivo nel percorso dell'intera lettura. Lo coinvolge. Lo invita a prestare attenzione ai dettagli ed ai particolari. Proprio come fa Munari nelle sue realizzazioni. Non c'è noia, bensì continua sorpresa. Mente e corpo si uniscono, e i diversi linguaggi, i diversi tipi d'espressione aiutano l'uomo ad entrare in una forma di pensiero più profonda.
L’accostamento, anche casuale, di forme o parole fa volare lontani con l’immaginazione e, se tutto può essere proposto sotto forma di gioco, la creatività, nell’impiego delle immagini per Munari, non è fine a se stessa, ma svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo autonomo del pensiero.
La creatività esige un’intelligenza elastica, una mente libera da preconcetti d’ogni genere, pronta a modificare le proprie opinioni quando se ne presenta una “più giusta”, in quanto la creatività si forma e si trasforma continuamente e non si può stabilire un confine preciso tra fantasia e creatività, in quanto i prodotti di entrambe nascono da relazioni che il pensiero stabilisce con ciò che già conosce.
La creatività va insegnata e stimolata attraverso il processo educativo: consegnando al bambino gli strumenti indispensabili per la sua conoscenza, e utili per attivare il pensiero divergente (Il pensiero divergente è il pensiero creativo, alternativo e originale. E' sollecitato da situazioni aperte, come quelle sociali, e che ammettono più soluzioni alternative).
Il metodo creativo di Munari si basa sulla convinzione che rapportarsi ai bambini non significhi tradurre per loro la realtà banalizzandola, sottovalutando le loro potenzialità conoscitive, quanto piuttosto spiegare loro, mediante i mezzi più consoni, concetti anche complessi.
Munari ha posto  l’accento su alcune componenti fondamentali dell’apprendimento: le caratteristiche soggettive di colui che apprende, il suo ruolo attivo nel processo di apprendimento e la figura dell’educatore quale animatore delle attività volte alla padronanza dei saperi.
Munari è attratto dalla naturale curiosità del bambino ed è su questo tratto caratteristico che basa la sua metodologia: comprendere le caratteristiche fondamentali della comunicazione visiva mediante azioni che stimolino la curiosità del bambino, in cui l’educatore e lo stesso artista siano di supporto all’autonoma attività di comprensione. L’adulto si spoglia della funzione di trasmettere passivamente nozioni, diventando un animatore, un facilitatore dell’attività del bambino, in quanto ha il compito di aiutarlo mostrando le tecniche e il modo di utilizzarle.
Molte delle caratteristiche presenti fin nelle prime opere, e anche in quelle già citate, si ritrovano nella sua opera “La favola delle favole”, del 1994, un libro-gioco che permette ai bambini di creare le loro personali favole attraverso la combinazione di fogli intercambiabili, fogli che presentano diverse illustrazioni, diversi colori e che sono fatti di fatti di diversi materiali.
 
Queste le caratteristiche del libro:   
·         Dimensioni: cm 30.0x30.0
·         Pagine: 57 fogli, alcuni fustellati
·         Illustrazioni: 15
·         Rilegatura: Fogli uniti da clips e raccolti in busta di plastica trasparente
·         Lingue: Testi in italiano, inglese, francese, giapponese
 Con questo lavoro Munari riprende un tipo di attività che aveva già affrontato con il gioco visivo “Più e meno”, del 1970, composto da 72 carte, molte delle quali (48) su fondi trasparenti, così da poterle sovrapporre per comporre altre immagini più complesse stimolando le capacità creative del bambino. 
Sul retro copertina de “La favola delle favole” sono riportate queste parole di Munari stesso: "I fogli trasparenti prendono il colore dei fogli colorati sui quali sono posati. Il disegno fatto su trasparente apparirà sul fondo di colore che si vuole. Potrete, così, far volare l'uccellino rosso su un cielo azzurro, verde, nero, o su qualunque altro fondo, o addirittura, su qualunque altro disegno trasparente o no. I fogli di carte colorata vanno interpretati e usati secondo il significato che gli si vuol dare: il verde può essere un prato, ma anche l'interno di una stanza dipinta di verde; il giallo può rappresentare il sole, un campo di grano, un fiore molto vicino e anche la polenta. Potete aggiungere fogli di qualunque tipo di carta che troverete, fotografie, carta delle caramelle, nastri, una foglia strana e tante altre cose... fate voi secondo le vostre storie, sono molto curioso di vedere che cosa combinerete".
E’ evidente come al centro di questa opera ci sia, ancora una volta, il bambino con la sua fantasia e creatività. Il gioco stimola a sperimentare infinite situazioni, atmosfere, ambienti. L’immagine creata può essere continuamente arricchita o trasformata usando qualsiasi tipo di materiale. Munari scardina completamente il concetto tradizionale di libro illustrato come qualcosa di preconfezionato che può essere solamente osservato. E’ il “lettore” in prima persona il creatore delle proprie favole, è chiamato ad intervenire attivamente, toccando con mano i materiali di cui si servirà per dare vita alle sue storie.
Questo tipo di materiale, come tutti i materiali di Munari, si presta ad essere utilizzato in molti modi. Sicuramente lo inserirei in un percorso di didattica della lettura come strumento adatto a stimolare la creatività dei bambini, come spunto per affrontare in modo giocoso il processo di una costruzione narrativa, come stimolo per riflettere sui diversi stili di illustrazione presenti nei vari testi, sul ruolo che possono avere i colori, in particolare, nel veicolare un messaggio.
In quanto abilissimo designer, Munari non si è limitato tuttavia alla sola creazione di libri rivolti all'infanzia. Molto interessante è una sua particolare creazione, che oggigiorno trova grande accoglienza e apprezzamento soprattutto all'interno degli asili nido, e che rappresenta un esempio della sua genialità e attenzione per i particolari. Sto parlando del suo "Libro letto".
 
« Ogni libro è letto, ma ogni letto non è anche un libro » Bruno Munari
 
Il momento della “nanna” è un momento importante, di grande intimità e di forte investimento emotivo per i bambini. La notte è archetipicamente lo scrigno delle paure, delle cose sconosciute, oscure e un po' misteriose. È fondamentale quindi che i bambini si sentano supportati, accompagnati in questo avvicinarsi ed abbandonarsi al sonno, con la creazione di un’atmosfera rilassata e rilassante: uno dei tanti metodi potrebbe essere il racconto della classica storia della buona notte, come momento di interazione e condivisione positiva tra bambino e adulto, costruita proprio attraverso la narrazione. In quest’ottica s'inserisce il "Libro letto", una trapunta scritta che è sia libro che letto. È composta da una serie di 6 cuscini bordati di micro-storie, delle dimensioni di 70 x 70cm. Sui bordi dei cuscini del Libro letto non si trovano storie vere e proprie ma solo brevi frasi. I cuscini sono scomponibili e possono essere assemblati in maniere diverse per comporre di volta in volta nuove storie.
Questo libro-letto assolve due funzioni: essere letto ed essere un letto. Permette delle attività molto interessanti, perché si possono inventare e raccontare storie scomponendone i cuscini, stimolando l’immaginazione e la fantasia, non è un semplice leggere una storia della buonanotte; essendo una coperta è morbida e calda, si può scomporre e ricomporre, il bambino ci si può addormentare. C’è un diverso rapporto con il “libro”, la storia può essere inventata partendo dalle frasi sui bordi della trapunta, arricchite con i colori (ad esempio il cuscino verde può diventare una prateria e quello azzurro il mare), viene toccata e immaginata. La narrazione ed il racconto permettono al bambino di crearsi delle immagini mentali, delle scene fantastiche su cui poi potrà lavorare cognitivamente ed emotivamente con la propria immaginazione e fantasia. Si ha l'occasione di vivere insieme un'insolita avventura, dove potete essere al tempo stesso autori e protagonisti e il bambino può letteralmente perdersi piacevolmente tra le pieghe della sua favola.
 
“Conservare lo spirito dell’infanzia
 dentro di sé per tutta la vita 
vuol dire conservare 
la curiosità di conoscere
 il piacere di capire
 la voglia di comunicare Bruno Munari
E' chiaro che esaurire con un unico intervento l'opera di questo grande e importante artista del panorama italiano, illustrando gli straordinari contributi e le opere da lui realizzate per il mondo dell'infanzia, risulta essere impossibile. Spero che tale contributo possa comunque rappresentare un interessante spunto di riflessione e uno stimolo a voler conoscere in maniera approfondita questo grande artista. Di seguito alcuni link utili affinché ciò sia possibile:
  • Associazione Bruno Munari: www.brunomunari.it

  • MunArt - The most complete web site dedicated to Bruno Munari: www.munart.org


A presto!
 
 
 
 

 



giovedì 12 marzo 2015

Maria Montessori, una pedagogia che trae la teoria dall'azione

La figura di Maria Montessori è di certo una delle più celebri nella pedagogia italiana e mondiale del '900.
Conosciuta da tutti come la madre della Pedagogia scientifica, è anche l'ideatrice delle "Case dei Bambini", ed ha esportato il proprio Metodo in tutto il mondo. Il Metodo Montessori ha attratto, e continua ad attrarre tutt'oggi, moltissime persone, tuttavia in questo post il mio intento è soprattutto quello di fornire maggiori informazioni sulla figura di questa donna straordinaria, che seppur spesso criticata sul piano delle scelte personali (ha lasciato suo figlio Mario in un istituto subito dopo la sua nascita, per poi riprendere i contatti con lui solo una volta adulto, e non ha mai ammesso che fosse suo figlio, continuando a presentarlo come un nipote) ha certamente fornito contributi fondamentali per la nascita di una nuova Pedagogia, fondata non più solo su speculazioni, ma sui fatti, sull'azione, dalla cui osservazione potevano essere tratti tutti i principi guida necessari per una corretta educazione. La Montessori ha poi fornito contributi fondamentali alla causa dell'emancipazione femminile, al riconoscimento dei diritti delle persone con deficit, dei poveri e degli sfruttati. Una donna poliedrica Maria Montessori, che nella sua vita si è dedicata allo studio, alla ricerca, al miglioramento della società mediante l'educazione, nella speranza di poter costruire, attraverso essa, un mondo di pace. Ma ora analizziamo più nel dettaglio la sua storia.

Maria Montessori

L’attività scientifica di Maria Montessori ricopre un arco temporale piuttosto ampio, circa un cinquantennio. Ella si laurea in Medicina nel 1896, ma i suoi interessi spaziarono dall’antropologia alla psichiatria, dalla embriologia alla pedagogia sperimentale. Molte sue scelte furono decisamente contrarie alle convenzioni sociali dell’epoca, a partire dalla sua formazione: interessata alla matematica intraprese gli studi secondari superiori presso un Istituto tecnico, per poi decidere di iscriversi alla Facoltà di Medicina. Non potendovi però accedere direttamente per questioni burocratiche (e incontrando ostacoli anche da parte della famiglia) fu costretta a frequentare prima il primo biennio della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, per poi trasferirsi al terzo anno di Medicina. Riesce a laurearsi con una tesi in Psichiatria nel 1896, quando le donne medico erano ancora pochissime e ancor meno erano quelle che realmente esercitavano la professione dopo aver conseguito il titolo. Scelse poi di dedicarsi in particolare alla psichiatria, campo che più di altri era considerato poco adatto alle donne.
Nel frattempo si interessa molto anche alla questione femminista, aderendo al movimento di emancipazione della donna e partecipando come delegata italiana al Congresso di Berlino e a quello di Londra. Ella si batté in particolare per l’eguaglianza delle condizioni lavorative e salariali di uomini e donne e per denunciare lo sfruttamento minorile nel mondo del lavoro, nonché per il diritto al voto politico per le donne.
L’anno successivo alla laurea la Montessori inizia a lavorare come assistente presso la Clinica psichiatrica dell’Università di Roma, collaborando con i luminari Sciamanna, De Sanctis e Sergi. Il lavoro presso la Clinica la porta a interessarsi dei bambini con ritardi, o frenastenici, che spesso venivano ricoverati nei manicomi poiché considerati irrecuperabili, quando invece, secondo la dottoressa, avrebbero potuto essere trattati con adeguati interventi pedagogici. La Montessori decise di esporre le sue teorie al riguardo in occasione del Primo Congresso Pedagogico che si tenne a Torino nel 1898, durante il quale propose di istituire per questi bambini classi aggiunte presso le scuole elementari, formando adeguatamente anche i loro insegnanti, e creare per i casi più gravi Istituti medico-pedagogici. L’intervento suscitò molti consensi e l’approvazione delle sue proposte.
Proprio a seguito del successo riscontrato durante il Congresso, la Montessori ricevette l’incarico dal Ministro della pubblica istruzione del tempo di tenere dei Corsi sulla pedagogia emendativa presso le scuole normali di Roma.
I tempi erano maturi per la costruzione di una Scuola Magistrale Ortofrenica per la formazione di maestri ai nuovi metodi di educazione dei bambini frenastenici, che venne creata nel 1900 a Roma, e che la Montessori contribuì a dirigere per due anni, creando una annessa classe sperimentale nella quale lei stessa si impegnò nell’attività didattica, mettendo a punto tecniche e materiali sempre più adatti alle esigenze di quei soggetti.

I primi contributi scientifici innovativi nel campo dell’educazione e del recupero del minorato psichico risalivano agli studi di Itard e dell’allievo Seguin, che divennero importanti riferimenti all’interno del percorso intellettuale di Maria Montessori. Nel suo caso più famoso, quello del “ragazzo selvaggio dell’Aveyron”, Itard aveva creato una terapia basata sul convincimento che l’inferiorità del ragazzo dipendeva esclusivamente dalle condizioni ambientali in cui questi era cresciuto, e che fosse quindi possibile strutturare tecniche riabilitative, basate soprattutto sull’educazione sensoriale, capaci di garantire un recupero delle abilità carenti. Effettivamente grazie ad una educazione sistematica dei sensi, con attività sensoriali e motorie realizzate secondo specifiche progressioni (da discriminazioni massime a minime, esercitando prima un senso, poi più insieme. Secondo Seguin gli esercizi sensoriali devono seguire questa progressione: tatto, vista, udito, gusto, olfatto), Itard riuscì a far sì che il ragazzo recuperasse almeno in parte alcune capacità mentali.
Nonostante i successi però né le teorie di Itard né quelle di Séguin furono prese davvero seriamente in considerazione dal mondo dell’educazione, a causa dei pregiudizi nei confronti dei bambini “anormali”, considerati spesso irrecuperabili. La Montessori invece si ispirò alle metodologie di Itard e Séguin nella sua azione educativa a favore dei soggetti disabili, convinta delle opportunità offerte dagli interventi educativi adeguati nel recupero dei soggetti con ritardo mentale. Ella rimase incuriosita in particolare dalla proposta di Séguin di applicare il suo metodo speciale anche ai bambini normali.
Ella iniziò quindi a mettere a punto il suo METODO MEDICO-PEDAGOGICO, che si snoda attraverso una serie di fasi:
  • *      Educazione igenica: Ha come scopo immediato quello di sviluppare la sensibilità e richiamare l’attenzione del soggetto sull’ambiente esterno. Prevede l’utilizzo di tecniche quali bagni, frizioni, massaggi… e mira anche a sviluppare la capacità di controllo degli sfinteri.
  • * Educazione muscolare: Ha come obiettivo quello di intervenire su quei problemi di coordinazione dell’attività muscolare spesso presenti nei bambini con insufficienze mentali (iperattività, atonia…), attraverso esercizi volti a far produrre movimenti progressivamente più complessi. L’insegnamento del movimento ruota intorno a due regole generali: la prima, prevede che i movimenti d’insieme precedano quelli parziali (o particolari); la seconda che il movimento complesso venga analizzato nei suoi tempi successivi e che se ne perfezioni isolatamente ogni dettaglio.
  • *       Educazione sensoriale: Finalizzata a stimolare abilità che si pongono come punto di partenza per l’acquisizione di ulteriori competenze, come l’associazione e la discriminazione di colori, forme, superfici, suoni, sapori…
  • *    Lettura e scrittura: Tali abilità vengono apprese nell’ultima fase dell’intervento attraverso la manipolazione e discriminazione di lettere mobili d’alfabeto e rappresentano la punta più avanzata delle abilità cognitive conseguite.

Mentre tutti ammiravano i risultati raggiunti dai bambini con deficit seguiti dalla Montessori, quest’ultima si domandava come fosse possibile che allievi normodotati si trovassero a livelli tanto bassi da essere facilmente raggiunti dai suoi allievi. Iniziò quindi a farsi strada in lei l’ipotesi che parte delle procedure adottate per i bambini minorati potessero adattarsi anche all’interno dei normali contesti scolastici, visto che comunque i soggetti con ritardo mentale presentavano alcune caratteristiche in comune con quelli normodotati di età inferiore (ad es. la scarsa coordinazione dei movimenti muscolari, i sensi ancora poco sviluppati, il linguaggio rudimentale…). L’occasione per verificare tutto questo le si presenta nel 1906, quando viene contattata dall’ingegner Talamo, Direttore generale dell’Istituto Romano dei Beni Stabili, che aveva dato il via ad un progetto di riqualifica del quartiere popolare di San Lorenzo in Roma, e aveva intenzione, nell’ambito di questo progetto, di ristrutturare le abitazioni dotando ciascuna di esse di una scuola infantile. L’obiettivo del progetto era quello di riformare il quartiere, in cui vigevano condizioni di particolare degrado sociale e sanitario e la cui popolazione era composta prevalentemente da operai, disoccupati e mendicanti. L’esigenza di porre rimedio a gravi problemi sociali poteva divenire quindi un’occasione per dare il via a un nuovo esperimento di educazione infantile su vasta scala. Ogni casa popolare sarebbe stata dotata di una scuola, che avrebbe accolto i bambini in età prescolare (3-7 anni). Esse vennero denominate “Case dei bambini”, e la prima fu inaugurata il 6 gennaio 1907 a via dei Marsi 58.

A due anni di distanza dall’apertura della prima Casa dei bambini, la Montessori pubblicò l’opera che la rese famosa nel mondo: “Il metodo della Pedagogia Scientifica applicata all’educazione infantile nelle Case dei Bambini”. In questo lavoro la Montessori presentò i principali risultati del suo esperimento educativo, espose la propria concezione dell’infanzia e le basi del suo metodo. La prima parte del titolo fa in modo che l’opera venga collocata all’interno di una corrente di riflessione teorica che vedeva impegnati i più importanti pedagogisti del tempo (Dewey, Decroly, Claparede…), mentre la seconda evidenzia che essa è rivolta specificatamente all’analisi di problematiche educative e metodologiche finalizzate in senso operativo.
Per quanto concerne la posizione assunta dalla Montessori sul tema della pedagogia scientifica essa i basa sul presupposto che per educare bisogna conoscere il soggetto da educare. Secondo la studiosa è necessario che la pedagogia rivendichi una autonomia di contenuto e di metodo, così come è stato per altre discipline. La pedagogia deve tuttavia avvalersi anche di apporti provenienti da altre discipline, come la psicologia sperimentale e l’antropologia, in grado di fornire informazioni utili nello sviluppo di nuove procedure. Stava poi molto a cuore alla Montessori la questione del metodo: troppo a lungo la pedagogia si era limitata a prendere in prestito il metodo di altre scienze, era necessario che sviluppasse un proprio metodo. Ella ritiene in particolare che il Metodo della Pedagogia Scientifica debba essere quello dell’osservazione.
Tale procedura deve essere però condotta rispettando una serie di criteri, affinché possa essere considerata attendibile e valida: deve essere condotta in condizioni di assoluta “assenza di pregiudizio” (con estrema esattezza e obiettività- attendibilità-) e creare le condizioni per cui i fenomeni osservati si manifestino nella loro autenticità (il bambino doveva essere lasciato libero di manifestare liberamente i propri bisogni, tendenze e capacità –validità-).
Tutto questo garantisce una continua interazione tra teoria ed azione, per cui dall’azione e dall’osservazione di essa scaturisce una riflessione teorica che a sua volta influirà sull’azione. La Casa dei Bambini è quindi per la Montessori un “laboratorio di psicologia”, con la differenza però che l’esperimento svolto all’interno di essa evita di provocare reazioni per volontà dello sperimentatore e offre invece dei reattivi alla libera scelta del soggetto. I reattivi introdotti hanno come finalità quella di permettere nel soggetto lo stabilirsi di reazioni durevoli, cioè di modificarne la personalità.
Il Metodo della Pedagogia Scientifica riscontrò un grandissimo successo, tanto da essere tradotto nel giro di 3 anni in inglese, francese, tedesco, russo, polacco, e essere pubblicato poco dopo anche in Giappone, Irlanda, Danimarca e Olanda. Il Primo Corso Internazionale per la formazione degli insegnanti al metodo si tenne a Roma nel 1913 e accolse partecipanti da tutto il mondo (Australia, Giappone, Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Spagna…).
In Italia dove il primo esperimento di via dei Marsi sarà seguito dall’apertura di altre case dei Bambini a Roma e a Milano, la Montessori tenne il suo primo corso nel 1909, appena pubblicato Il Metodo.
 Il progetto educativo che la dottoressa elaborerà per un’estensione del suo metodo agli altri ordini di scuola sino all’Università , sebbene non sia presentato in maniera così sistematica come quello proposto per la scuola elementare, non manca di indicazioni specifiche sul piano metodologico e didattico. Tale tema sarà trattato nel volume Dall’Infanzia all’Adolescenza, che affronta in chiave psicologica e didattica le problematiche riconducibili alla fanciullezza e all’adolescenza.
A partire dal 1924 non le manca l’appoggio del Fascismo, ma quando si rende conto della strumentalizzazione del metodo a fini propagandistici che il regime intendeva operare, si trasferì prima in Spagna, poi in Olanda dove rimarrà fino all’inizio della seconda guerra mondiale. In seguito alla rottura dei rapporti con il Fascismo, saranno soppresse in Italia tutte le scuole e istituzioni montessoriane. Idem successe in Germania e in Austria. 
 Terminata la guerra torna in Europa. In uno scritto di questo periodo “Come educare il potenziale umano” vengono ulteriormente precisati i caratteri di un’educazione che assume sempre più i caratteri della dimensione cosmica intesa come promozione di una conoscenza in grado di cogliere il rapporto d’interdipendenza e d’organica connessione che unisce gli uomini. L’educazione “cosmica” è un concetto chiave della pedagogia di Maria Montessori. Da un punto di vista operativo, esso trova traduzione nella predisposizione di un ambiente di apprendimento, in grado di guidare il bambino nella comprensione del proprio ruolo, all’interno del complesso sistema di interrelazioni, che regola il delicato equilibrio tra gli elementi che compongono il cosmo.
Maria Montessori muore nel 1952 in Olanda, a Noordwijk. Sulla sua tomba è possibile leggere le seguenti parole: 
"Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo."

Maria Montessori in una "Casa dei Bambini"
 Di certo il discorso sul Metodo non può essere esaurito in poche righe, mi ripropongo tuttavia di parlare ancora di questa straordinaria figura della Pedagogia italiana. Vi propongo però una serie di testi che costituiscono una lettura utile ed interessante per chi voglia approfondire la conoscenza della scienziata e pedagogista:
  • "Attualità scientifica della pedagogia di Maria Montessori" di C.Tornar
  • "La pedagogia di Maria Montessori tra teoria ed azione" di C.Tornar
  • "La scoperta del bambino" di M.Montessori
  • "Come educare il potenziale umano" di M.Montessori


martedì 24 febbraio 2015

Jean Jacques Rousseau, tra ideali educativi e scelte di vita

L’infanzia in realtà non si conosce. Nel bambino cercano sempre l’uomo, senza badare a ciò che è il bambino prima di essere un uomo. E’ questo lo studio al quale mi sono più applicato, affinché si potesse comunque profittare delle mie osservazioni, quand’anche il mio metodo fosse falsato e campato in aria. Cominciate perciò lo studio dei vostri allievi: perché sicuramente non li conoscete affatto”.

J.J. Rousseau, "L'Emilio o dell'educazione"



Jean Jacques Rousseau (1712-1778) è considerato dai più il padre della pedagogia moderna, colui che, nell'"Emilio", non ebbe timore di criticare, venendo per questo condannato e perseguitato, i metodi di educazione tradizionali, anticipando sotto molteplici aspetti, pratiche che solo secoli dopo sono diventati uso comune. 
Rousseau inizia il primo libro dell’”Emilio” con l’affermazione che “tutto è buono quando esce dalle mani dell’Autore di tutte le cose, tutto degenera tra le mani dell’uomo”. Già dalla prima frase dell’opera cogliamo il centro dell’ideale di Rousseau della natura e della società umana: la natura è buona, la società è cattiva. Quando esce dalle mani dell’Autore l’uomo, il bambino, è buono, perché è naturale. Ma quando entra a contatto con la società, con i suoi vizi, si corrompe e degenera.
 Subito dopo riscontriamo un altro punto fondamentale delle idee sull’educazione di Rousseau: il ruolo materno. Egli dice infatti: “Mi rivolgo a te, dolce madre previdente”. Per Rousseau infatti la prima educazione deve essere esclusivamente compito della madre, che viene subito attaccata per il fatto che sia una nutrice ad occuparsi dei figli. A quel tempo era infatti uso comune che i figli delle famiglie aristocratiche fossero mandati a balia per permettere alle donne di continuare le loro funzioni aristocratiche da salotto. Rousseau critica duramente quest’abitudine: “Nulla può supplire l’attenzione materna”. Dal vantaggio di non doverli allattare le donne traggono il danno di dover dividere il diritto di madre, vedere il proprio figlio amare un’altra donna come sua madre e più di sua madre. Allora le madri provano a rimediare insegnando ai figli il disprezzo per la nutrice, ma cosa gli insegnano davvero in questo modo? Nient’altro che l’ingratitudine. Le donne hanno smesso di essere madri, e anche se lo volessero sarebbe difficile per loro riuscirci, poiché ormai vige l’usanza contraria e la donna dovrebbe combattere contro le opinioni della società (esemplare è il caso di Madame de Binet, amica di Rousseau che poté allattare la figlia solo perché illegittima). Ma oltre a fuggire il totale disinteresse dai figli, bisogna evitare anche l’eccesso opposto: quando una madre tende a proteggere troppo il figlio, nell’intento di preservarlo da ogni possibile danno e pericolo, non fa che indebolirlo. Tutto ciò è assolutamente sbagliato, poiché la prima infanzia è segnata dal pericolo e dalla malattia per una ragione: superando queste prove il bambino si rafforza, si rinvigorisce ed è più pronto ad affrontare i mali della vita.  Invece avviene che dopo aver passato sei o sette anni in mano a queste donne, il bambino venga affidato a un precettore che tutto gli insegna tranne che a conoscersi, a saper vivere e ad essere felice. Così come la vera nutrice è la madre, il vero precettore è il padre. Il bambino sarà educato meglio da un padre giudizioso e limitato che dal migliore dei maestri. Ma i padri adducono la scusa degli impegni e degli affari, si dicono troppo occupati, e così i figli vengono dispersi in collegi e conventi, fratelli e sorelle si conoscono appena, e la famiglia non è che un gruppo di estranei. Chi non può assolvere il dovere di padre, non deve diventarlo: non c’è povertà, lavoro o condizione umana che possano dispensarlo dal nutrire ed educare i propri figli. Invece si crede di poter dare al proprio figlio un altro padre col denaro, pagando un precettore perché assolva ai suoi compiti.
Dato che è difficile mettere in pratica tanti bei precetti in assenza di esempi e di dettagli: “E’ per questo che ho deciso di prendere un allievo immaginario, supponendo che abbia l’età, la salute, le conoscenze e il talento adatto per lavorare alla sua educazione, e guidarla dalla nascita sino al momento in cui, diventato uomo, non avrà bisogno di altra guida che se stesso”.
Inizia poi la descrizione di come deve essere il suo allievo, ovvero Emilio. Egli proviene da un paese con un clima temperato (la Francia), in modo che possa riuscire a vivere anche in altre zone del mondo senza soffrire eccessivamente un troppo brusco cambio di clima. E’ nobile, poiché il povero non ha davvero bisogno di educazione: l’educazione naturale deve rendere un uomo adatto a vivere in ogni condizione, è più ragionevole educare un ricco ad essere povero che viceversa. Emilio è orfano, poiché Rousseau succede a entrambi i loro doveri e diritti, ed Emilio obbedirà solo a lui. Deve essere sano, di buona costituzione e vigoroso, poiché non ha senso occuparsi di uno debole e malato, che porterebbe a due sacrifici per il mondo, il proprio e quello del proprio precettore. Sarà lo stesso Rousseau a scegliere la nutrice adatta per Emilio: deve avere appena partorito, in quanto la qualità del latte cambia con l’età del lattante; deve essere sana di corpo quanto di cuore, in quanto oltre al latte la nutrice deve dare al bambino una serie di cure, pazienza e dolcezza. Dato che l’aria è in grado di agire beneficamente sulla costituzione dei bambini già da piccoli, è importante che il bambino e la nutrice rimangano in campagna, dove possono respirare aria buona. Quando il bambino respira e si muove non deve trovare impedimenti: niente cuffie, fasce e pannolini, ma vestiti larghi e una culla grande e imbottita che gli permettano di muoversi e rafforzare gli arti. Le nutrici potrebbero lamentarsi di questo, poiché per loro è più facile badare a un bambino immobilizzato che ad uno completamente libero. Ma su questo non bisogna nemmeno discutere. L’apprendimento del bambino inizia con la nascita, e prima ancora di parlare, il bambino impara già. Le loro prime sensazioni sono puramente affettive: essi percepiscono solo il piacere e il dolore. E’ importante che non si faccia prendere al bambino alcuna abitudine: non tenerlo in braccio più da un lato che dall’altro, a mangiare, dormire o muoversi solo in determinate ore, deve essere preparato fin dall’inizio alla libertà ed a essere padrone di se stesso. All’inizio il bambino ha smania di conoscere, vuole toccare tutto, sentire tutto, ed è importante non opporsi a questo suo desiderio. E’ così che impara a sentire e distinguere caldo e freddo, duro e morbido, a valutare le grandezze e le figure dei corpi.
Bisogna mantenere la semplicità con i bambini: essi non hanno bisogno di sonagli d’oro, cristalli e ninnoli di ogni tipo, bastano teste di papavero e bastoncini di liquirizia per divertirli senza abituarli al lusso già da piccoli. I bambini sentono parlare da quando vengono al mondo e il loro organo pian piano si presta alle imitazioni, quindi le prime articolazioni che si fanno sentire al bambino devono essere facili, chiare e ripetute spesso e riferiti a oggetti sensibili che il bambino possa vedere. Non bisogna soffermarsi eccessivamente nel correggere i bambini nei loro errori di sintassi, poiché col tempo si correggeranno da soli, e non bisogna assolutamente pretendere che parli da prestissimo, riuscirà a parlare da solo man mano che ne sentirà la necessità. I primi sviluppi dell’infanzia avvengono quasi tutti contemporaneamente. Il bambino impara a mangiare, parlare e camminare più o meno nello stesso periodo. Questa è la prima età della sua esistenza eppure non ha alcuna idea, solo sensazioni.
Ma quali sono, secondo Rousseau, le caratteristiche del buon pedagogo?
Egli innanzitutto non deve essere un mercenario (il pedagogo è un  mestiere nobile, è impossibile farlo per denaro senza mostrarsi indegni). Deve essere padre egli stesso, o più che uomo, inoltre deve essere ben educato. Deve essere giovane, tanto giovane, poiché crescerà insieme al suo allievo e questo permetterà una facile creazione di legame tra i due. Il suo compito consiste nel guidare, più che nell’istruire, perciò si chiama pedagogo e non maestro (o magister).

Leggendo queste parole viene da immaginare un Rousseau padre modello, un precursore, capace di fornire ai propri figli la migliore tra le educazioni possibili. Eppure la realtà dei fatti è ben diversa. Basta dare uno sguardo all'altra grande opera di Rousseau, le "Confessioni", sua interessante autobiografia, per avere la possibilità di sentirsi raccontare dallo stesso autore la sua decisione di non assumersi le responsabilità della paternità (nonostante gli inviti fatti agli altri uomini nell'"Emilio" a non trascurare tali doveri).
La storia di Rousseau e dei suoi figli inizia nel 1745 quando lui incontra Therese le Vasseur, domestica lavandaia che lavorava nella pensione in cui l’uomo alloggiava e con cui va in poco tempo a convivere. Tra il 1746 e 1752 i due concepiranno 5 figli, tutti abbandonati nell’istituto di trovatelli di Parigi. L’”Emilio” viene pubblicato 10 anni dopo l’abbandono del 5° figlio.
Rousseau afferma che tale decisione ha alla base la mancanza di un matrimonio ufficiale con la madre dei suoi figli, la scarsa educazione di quest'ultima (che quindi non sarebbe in grado di educare i bambini) e le precarie condizioni economiche (in quegli anni egli lavorava saltuariamente su commissione). 
Seppur non vi siano prove evidenti, sembra che alla fine Rousseau si sia pentito di aver abbandonato i propri figli (forse la stessa scrittura dell’"Emilio" potrebbe essere un tentativo di riparare all’errore compiuto). Nelle "Confessioni" infatti Rousseau afferma che proprio durante la scrittura dell’Emilio aveva sentito il rimorso assalirlo per il dovere non rispettato. 

Grande teorico, scarso pratico, tuttavia innegabile è il contributo che questo pensatore ha fornito, e continua a fornire, alla pedagogia e all'educazione. Mi piace chiudere questo intervento, lasciando a voi ulteriori riflessioni, con un bella citazione tratta proprio dal primo libro dell'"Emilio":

"Si pensa soltanto a conservare il proprio bambino: non è sufficiente; occorre insegnargli a conservarsi da sé quando sarà adulto, a sopportare le percosse del destino, a sfidare l'opulenza e la miseria, a vivere, se necessario, tra i ghiacci dell'Islanda o tra le rocce infocate di Malta. Usate pure ogni possibile precauzione perché non muoia: dovrà ben morire una volta; e quand'anche la sua morte non fosse effetto delle troppe attenzioni, queste sarebbero pur sempre inopportune. Non importa tanto impedirgli di morire, quanto farlo vivere. E vivere non è respirare: è agire, è fare uso degli organi, dei sensi, delle facoltà, di tutte quelle parti di noi stessi per cui abbiamo il sentimento di esistere"


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lunedì 2 febbraio 2015

Educazione bilingue: tra confusione e opportunitá

 
Oggi, trovandomi per vacanza ad Amburgo, in Germania, ho avuto l'opportunitá di trascorrere la giornata in un asilo bilingue della cittá, affiancando le educatrici e potendo cosí osservare in prima persona l'offerta educativa da esso proposta.
Il numero di italiani che si stanno spostando ad Amburgo é cresciuto e continua a crescere negli ultimi anni, e di conseguenza sono sempre di piú le strutture che iniziano ad presentare offerte educative di tipo bilingue. Naturalmente questo non é solo il caso della Germania.
A partire Dagli anni Settanta del '900 i flussi migratori hanno subito profonde variazioni e sempre piú persone abbandonano il proprio Paese d'origine in Vista di nuove opportunitá. In tutto questo sono sempre di piú i Bambini, siano essi migranti, figli di coppie miste o adottati,. che si trovano a Dover crescere immersi in un Ambiente interculturale e pluringuistico.
É proprio questa nuova realtá sociale e culturale, questo "mondo delle interdipendenze" (come viene definito dal prof. F.Susi) che rende sempre piú attuale e necessario il dibattito riguardo l'educazione bilingue.
Negli ultimi decenni sono stati condotti decine e decine di interessantissimi studi riguardo il bilinguismo e gli effetti benefici che esso presenta per lo sviluppo e la crescita dell'individuo, ma purtroppo la maggioranza di essi ha finito per rimanere discussa nel solo ambito accademico, privando la comunitá (dalle stesse famiglie bilingui agli insegnanti) della possibilitá di accedervi.
Tutto questo ha comportato lo sviluppo di farse credenze in merito, ma anche la difficoltá nel mettere in atto azioni educative davvero efficaci.
Uno dei falsi miti piú diffusi in merito al bilinguismo é quello secondo cui esso confonderebbe il Bambino, portandolo a mescolare le diverse lingue, fino ad arrivare, in sostanza, a non parlare bene nessuna di esse. In realtá le ricerche Hanno dimostrato ormai da tempo che il fenomeno noto come "enunciazione mistilingue", ovvero la commistione di piú lingue in un medesimo enunciato (esempio: "This pen is mia!") non sia da considerare un fenomeno patologico, bensí una fase assolutamente normale dello sviluppo linguistico delle persone plurilingui (i Bambini vi ricorrono, ad esempio, per sopperire ad una Lacuna nel lessico di una delle lingue).
In realtá le ultime ricerche sono arrivate a dimostrare come il bilinguismo, lungi dall'ostacolare il corretto sviluppo della mente infantile, costituisca invece una valida risorsa per garantire un Maggiore sviluppo delle capacitá cognitive del soggetto.
Oltre infatti a garantire la padronanza di piú lingue (elemento come giá detto essenziale nella moderna societá globale), esso permette uno sviluppo precoce della capacitá di lettura (poiché il Bambino bilingue sviluppa Maggiore sensibilitá per i suoni, distinguendo giá a pochi mesi sia ritmicamente che foneticamente le proprie lingue), e, Cosa molto interessante, permette lo sviluppo di una Maggiore capacitá di controllo esecutivo dell'attenzione (il Bambino bilingue riesce cioé a passare con Maggiore facilitá rispetto ad uno monolingua da un compito ad un altro quando entrambi richiedono un'attenzione selettiva, senza Farsi distrarre da elementi di disturbo). Altro elemento di gran pregio é il fatto di permettere l'accesso a due culture. Alcuni Studiosi Hanno avanzato l'ipotesi secondo cui questo potrebbe essere fonte di confusione del Bambino, al punto da compromettere il suo sviluppo identitario e da lasciarlo, per certi versi, "sospeso tra due mondi". In realtá le ricerche Hanno dimostrato che, in generale, soggetti bilingui traggono vantaggio dal fatto di avere come riferimento diversi sistemi culturali, sviluppando Maggiore rispetto e tolleranza nei confronti di ció che é Altro e sviluppando una Maggiore capacitá di "decentramento cognitivo" (cioé la capacitá di comprendere l'esistenza di punti di Vista differenti dal proprio).
Insomma, l'educazione di tipo bilingue presenta notevoli vantaggi, ma é sempre bene ricordare che chi vuole praticarla deve accertarsi di metterla in atto correttamente. Non é infatti sufficiente avere die genitori che parlano lingue diverse per diventare bilingui. Infatti, anche se l'apprendimento linguistico é notoriamente un processo naturale e spontaneo nella prima infanzia, é necessario che il Bambino sia messo nella condizione di poter effettuare un uso frequente della lingua, soprattutto in contesti sociali, anche ricorrendo a risorse di vario tipo, che siano in grado di incentivare e motivare il Bambino (giochi, Internet, Video, libri...). Questo Vale soprattutto per la lingua minoritaria, meno utilizzata nel contesto quotidiano rispetto a quella Standard.
 
 
Per chi fosse interessato é possibile far riferimento ad alcuni programmi di insegnamento bilingue particolarmente ben strutturati, quali ad esempio "Play English" che si propone di far acquisire all'allievo elevate competenze linguistiche ricorrendo ad un apprendimento che sia soprattutto concreto, centrato sull'azione (quindi particolarmente efficace soprattutto in etá prescolare), personalizzato e coinvolgente.
Si tratta naturalmente di una tematica estremamente ampia e delicata, che non puó di certo essere trattata in poche righe, perció rimando coloro che siano interessati ad avere maggiori informazioni a siti quali quello di "Bilinguismo conta", programma internazionale guidato dalla professoressa Antonella Sorace, che attraverso articoli, conferenze ed eventi si propone di sensibilizzare la comunitá sul tema del bilinguismo.